NEL REGNO DELLE CAPRE
















Le terre dell’arbiola.

 

La robiola di Roccaverano, formaggio prodotto sulla Langa astigiana, è l’unico caprino storico d’Italia 12) e il primo ad aver ottenuto la DOP (denominazione di origine protetta) grazie alla quale è stato istituzionalizzato il nome. Bisognava indicare un riferimento geografico e Roccaverano, al centro del vasto territorio che va da Monastero Bormida a Serole, ha assunto il ruolo di bandiera. Prima era la “formaggetta” e basta; tutt’al più era quella di Vesime, di Bubbio, di Monastero Cessole e così via. Ma se il nome è stato generalmente accettato, i produttori storici non si sono arresi alle norme di un disciplinare che permette di fare Roccaverano con l’85% di latte vaccino e la percentuale rimanente di latte ovino o caprino, indifferentemente. Un disciplinare che consente un paradosso: produrre un caprino storico senza un goccio di latte di capra. L’incongruenza è vistosa e non avrebbe nessun’altra motivazione se non quella di favorire la produzione industriale e l’allevamento bovino in un territorio che, tra l’altro, non lo consente, perché troppo aspro e avaro di pascoli. Un disciplinare del genere ha rischiato di seppellire una produzione straordinaria, consegnataci integra da secoli di storia. Per fortuna alcuni allevatori hanno continuato testardamente a produrre robiole come si faceva duecento anni fa. La robiola, o arbiora o furmagetta che dir si voglia, nasce da piccoli artigiani e si produce esclusivamente con latte crudo di sola capra. La tecnica di produzione tradizionale varia da produttore a produttore, per scarti minimali, Eppure le differenze fra una robiola e l’altra sono rilevanti: i fiori, le erbe e la flora batterica dei pascoli si trasferiscono nel formaggio al punto che, come per i vini, è possibile definire una vera e propria mappa di cru. Il fascino di questo formaggio nasce proprio da questo fortissimo e secolare legame con il territorio. Un legame che, purtroppo, si è allentato per la drastica diminuzione della razza (o meglio popolazione) autoctona locale: la capra di roccaverano, che si cerca di soppiantare da razze più produttive (Saanen o Camosciate). Nel 1970 rimanevano soltanto trecento capi, ridotti a duecento nel 1990. L’istituzione di un presidio Slow Food nel 2000 ha dato l’avvio a iniziative per la sua salvaguardia che confluiscono nell’ecomuseo di Asti e del suo contado con la nascita di una nuova economia fondata sulla filiera dell’arbiola. La nuova attività, che ha dato il via ad un reale sviluppo dell’ecomia locale, anche se molto c’è ancora da fare, consiste nella ricerca degli allevatori della capra di Rccaverano e dei piccoli produttori di arbiola che lavorano con con il sistema tradizionale del latte crudo di sola capra, sparsi sul territorio della langa astigiana, offrir loro la possibilità di mantenere economicamente sostenibile tali secolari attività organizzando il confezionamento, la stagionatura e la commercializzazione di un prodotto con una qualità totale, tutelando e valorizzando la filiera storica dell’arbiora. Anche il questo caso, il rapporto-interazione città contado è il file rouge che fa di Asti la vetrina e il motore  dello sviluppo auspicabile locale.

 

12) GAL Borba2 Ladere Slow Food. Verso I cru del Roccaverano. Controstampa Bra (CN). 2001.